La "Grande guerra"
Come Padre Annibale
ed i giovani chierici Rogazionisti
vissero gli anni del primo conflitto mondiale
Messina, chierici e fratelli
in una foto di gruppo con Padre Annibale e Padre Vitale.
In piedi, al centro con gli occhiali scuri, Fratel Mariano Drago
«Per la piccola Congregazioni Maschile fu
un disastro immane. I Rogazionisti erano pochi, appena un germe neonato.
Le due Case di Messina e di Oria, in breve, si vuotarono di tutti quelli
che attendevano all’assistenza degli orfani e degli Aspiranti religiosi.
Veramente tutte le Congregazioni religiose maschili dovettero subire
questa bufera. Ma le Comunità costituite e con una lunga esperienza, sia
pure con disagio, avevano dove attingere in classi non combattenti o per
superati limiti di età o per altro. Ma per i Rogazionisti, che appena
allora cominciavano a farsi avanti, non c’era possibilità di farsi
sostituire da nessuno. Anch’essi, come il Padre scrisse nell’Inno del 1
Luglio 1915:
«Mutar la stola in zaino la tunica in
giubbone».
Nelle Case rimasero i ragazzi e i molto
anziani, come il Padre, P. Vitale, Can. Celona, Fra' Salvatore, Fra'
Placido e qualche altro riformato perché malato. Alcuni quasi
quarantenni riuscirono a farsi esonerare per servizi necessari alle
forze armate. Il P. Palma fu esonerato, perché riconosciuto Direttore
dell’Orfanotrofio per le orfane di guerra di Altamura; i due Fratelli
Giuseppe Antonio e Maria Antonio furono esonerati perché riconosciuti
operai necessari al calzaturificio di Oria, che lavorava calzature per
le Forze combattenti. Ma Fra' Carmelo, Fra' Pasquale, Fra' Stanislao,
Fra' Redento, Fra' Consiglio, Fra' Mariano, Fra' Mansueto, Fra' Diodoro,
Fra' Gabriele, Vizzari ed altri di cui sfugge il nome, dovettero partire
per il fronte e combattere. Alcuni potettero evitare di partire subito,
perché non rispondenti alle condizioni di salute richieste, e furono
dichiarati rivedibili nelle successive leve. Ma essere scartati del
tutto era impossibile.
L’attività delle Case maschili si fermò
quasi interamente. Rimasero i ragazzi con qualcuno più grandetto, al di
sotto dei diciassette anni, che rispondeva della disciplina e della vita
normale. Ad Oria si dissolse la Scuola Apostolica. Il P. Vitale cercò
tirare avanti alla meglio, ma l’anno 1917, alla fine di Maggio, ricadde
negli attacchi di malaria, con febbri intermittenti; e il Padre decise
di farlo rientrare al clima dolce di Messina. Ad Oria riprese la
direzione il P. Palma.
Il micidiale altipiano della Bainsizza: una
enorme distesa di sassi
Un crinale della linea di fuoco: le macchie
nere sono le caverne degli austriaci
Sull’altipiano della Bainsizza si svolsero
alcune azioni della truce 11a Battaglia dell’Isonzo. L’esercito
austro-ungarico, non meno provato di quello italiano, risentiva
dello sforzo di respingere le fanterie italiane della Seconda
Armata, che avanzavano sull’altipiano. Si combattè per giorni e
giorni fino a che l’altipiano della Bainsizza fu conquistato
dagli italiani, che pagarono un alto tributo di sangue, per un
territorio che fu tenuto solo per alcuni mesi. L’Austria si rese
conto che doveva tentare un ultimo sforzo per dare una svolta al
conflitto. Dopo la perdita dell’altipiano gli austriaci assieme
ai tedeschi organizzarono il più grande concentrato di truppe in
zona di montagna e si prepararono alla battaglia di Caporetto
del 24 Ottobre 1917 che portò allo sfondamento del fronte
italiano.
Fratel
Michelino Lapelosa in divisa prima della partenza al fronte
La Guerra e la nostra gioventù
La guerra infieriva. Ed era guerra
guerreggiata in trincea, sul fronte, principalmente del Carso. Raffiche
di mitra, assalti alla baionetta, bombardamenti di aviazione, che
cominciava allora le sue prime apparizioni, mietevano il fiore della
gioventù. Le classi giovani 1897, 1898, 1899 furono spaventosamente
decimate. Si partiva per il fronte con la quasi certezza di non
ritornare più alla base di partenza. Ed i civili vivevano in continua
ansia per i propri cari, che si trovavano in zona di combattimento. Si
disse poi, a guerra finita, che erano stati immolati seicentomila
giovani vite.
Dei piccoli e pochi Rogazionisti non tornò
più il giovane studente Fra' Mansueto Drago. In una sortita sul fronte
della Bainsizza, sul Monte Nero, appena uscito di trincea fu colpito a
morte il 24 Marzo 1917. Aveva cominciato con gli altri ad Oria il corso
di Liceo Filosofico con P. Vitale. Fratello del P. Carmelo, era stato
vice sorvegliante dei suoi compagni. Della classe 1897, chiamato alle
armi, sano e robusto, era stato arruolato in fanteria, quantunque per
religiosi, sacerdoti e chierici, l’arruolamento si faceva in sanità e
servizi annessi. E partì per la zona operazioni. Sperava passare in
sanità, ma non fece in tempo. Ad un assalto fu stroncato.
Quando ad Oria giunse il telegramma del
Cappellano del Corpo, che informava della morte del giovane confratello,
P. Vitale con la comunità si trovava in refettorio. Egli s’interruppe,
ed ebbe un gesto vivace di angoscia e di dolore: “Ah, lo pensavo!
Cominciamo con le vittime!”. E si cominciò a trepidare per tutti gli
altri. Il Padre immortalò l’avvenimento nell’Inno del 1 Luglio di
quell’anno 1917:
«Compagno pietosissimo
del nostro esiguo, or mira del tuo Rogate
il piccolo gregge, che a Te sospira, che
adora il tuo decreto pel figlio MANSUETO che
trar volesti a Te.
Mirali, agnelli teneri dei
tuoi più cari ovili, dal Tempio e dal silenzio
sparsi sui campi ostili! A Te si volge il
pianto del loro cuore affranto, ma saldi
nella fe’!».
Ma non fu l’unica vittima. Poco prima se
n’era verificata un’altra, sotto un certo aspetto, più tragica e
dolorosa. Fra' Mariano Drago, cugino di lui, assunto in sanità e di
servizio provvisorio a Palermo, era stato addetto ad accompagnare i
tracomatosi, che erano a centinaia. Nelle visite sanitarie, pare che non
si aveva sufficiente misura d’igiene, perché gli ufficiali medici di
servizio erano prevenuti contro di essi, come se si fossero procurati
l’infezione per non partire per il fronte. In questa sua funzione di
accompagnatore, contrasse l’infezione, e in meno che non si dica, pare
per cattivo trattamento, perdette gli occhi. Per la confidenza e
l’affetto che aveva per il Padre, gli telegrafò nei primi di Febbraio
1917: «Venga presto, perché sono cieco!». Il Padre, che lo aveva
carissimo per le sue virtù e la sua laboriosità ed industria, corse a
Palermo, per ottenerne il congedo e curarlo a casa. Ma si trovò davanti
ad un giovane con l’occhio sinistro distrutto e col destro, che ci
vedeva appena appena. Dovette faticare molto per ottenerne il congedo.
Nel frattempo scriveva ai Padri Vitale e Palma: «Morire un giovarne
al fronte non è il massimo dei dolori, come credevamo! Perdere la vista
a 25 anni per vivere morto altri quaranta, cinquant’anni, è più
terribile». E il Padre dal 13 Febbraio si fermò a Palermo.
Telegrafò, chiedendo preghiere a tutte le nostre Case e a tutti i
monasteri e servi di Dio. Ma la mattina del 19 Febbraio lo trovò nel
buio perfetto. Anche l’altro occhio si era spento completamente. Per
l’interessamento del P. Messina, che a Palermo era tanto conosciuto ed
apprezzato, dopo lunghe difficoltà burocratiche, ottenne che il giovane
fosse congedato e liberato dalla dipendenza militare. Fece fare esami,
visite dei primari specialisti, cure ripetute, anche dal famoso Prof.
Cirincione, allora di fama internazionale. Inutilmente. Nulla da fare.
Quando cominciò l’eco dei prodigi del P. Pio, che allora si andava
diffondendo, se lo portò a S. Giovanni Rotondo, sperando in un miracolo.
Nulla. Il confratello, tanto attivo, rimase cieco per dieci anni, fino
alla morte, che avvenne alcuni mesi dopo quella del Padre, il 3 Dicembre
1927. Fu un’altra vittima.
Un cappellano militare celebra la messa al campo
Monsignor Angelo Bartolomasi, “Vescovo di
Campo”, si intrattiene con due generali.
La gerarchia
ecclesiastica all’interno dell’Esercito, con la relativa
assimilazione di grado, fu stabilita nel Giugno 1915.
La
direzione del servizio spirituale fu affidata a un “Vescovo da
Campo”, parificato al grado di maggior generale.
Ai cappellani
militari fu concesso l’uso dell’uniforme grigioverde munita di
croce di panno rossa Agli altri religiosi combattenti il Padre
non mancava di inviare incoraggiamenti e consigli. Scriveva ad uno:
«Ho appreso che sei stato dichiarato abile per la guerra. Che debbo
dirti? Mi sono afflitto fino alle lagrime, ma dobbiamo diffidare della
dolcissima misericordia del Cuore di Gesù? Non sia mai. Sta scritto che
tutte le cose si rivolgono in bene a quelli che amano Dio. Non lascerai
mai le tue preghiere, per quanto ti sarà possibile».
Ad un altro afflitto per le bestemmie che
sentiva: «È una pena amara questa, amarissima, che piuttosto mi
contenterei morire di dolore, per non sentire più profanato il Nome
Adorabile dell’Altissimo Dio. Preghiamo sempre e ripariamo!».
Ad un altro: «Ti assicuro che le
preghiere per tutti voialtri, nostri carissimi Figlioli in Gesù Cristo,
sono incessanti. Non trascurare, per quanto puoi, le preghiere, la
meditazione, la S. Comunione. Porti addosso l’Agnus Dei?». A tutti,
per il Patrocinio di S. Giuseppe dell’11 Aprile 1918, in cui si solevano
rinnovare i voti e promesse, esorta a fare la Novena di preparazione, ed
insiste: «Non rilasciate il vostro spirito dalla Divina Presenza e
dallo spirito religioso, e che le fatiche ed i disagi della vita
militare vi abbiano a servire siccome mezzo efficacissimo, con cui il
Signore vi chiama ad una più stretta unione col suo Divino Cuore».
Nel frattempo andavano prendendo sviluppo
le Case e le vocazioni femminili. E perciò le attività, svolte sino allora
dalle Case maschili, come le stampe di propaganda per le Segreterie
Antoniane, vennero assunte dalle Suore. Per il Padre le due
Congregazioni erano tutta una famiglia. Quindi fu in questo tempo che la
Casa Madre dello Spirito Santo acquistò una tipografia. Nell’Agosto
1918, lo stesso fece la Casa di Oria e, nel Dicembre successivo, la Casa
di Altamura. Poco più tardi anche le Case di Trani e di Taormina si
fornirono della loro tipografia.
Nell’Inno del 1 Luglio 1917, il Padre
faceva cantare alla Madonna, chiedendo la pace:
«Deh! quel giorno,
tra i giorni più belli (il giorno della pace).
Riconducine i cari fratelli».
Intanto il Padre, come se niente fosse, continuava le
iniziative della proclamazione dei Celesti Rogazionisti,
l’organizzazione fervorosa delle feste Sacramentali del 1 Luglio,
seguiva e si affaticava per l’incremento delle Case e delle vocazioni
femminili. Introdusse, perché non mancasse il pane, la recita a tavola
dell'Ave Maria alla Madonna del pane e faceva baciare a terra prima e
dopo i pasti; spiegò vivo interessamento per la celebrazione del settimo
Centenario della Madonna della Mercede. È questa viva fede che placherà
la Divina Giustizia e farà cessare la guerra. Verso la fine del 1917 la
guerra cominciava ad entrare in una fase di stanca. Gli eserciti di
tutte le nazioni belligeranti mostravano chiari segni di insofferenza.
Sul fronte italiano, tra il 24 Ottobre e i primi di Novembre, avvenne la
famosa ritirata di Caporetto, che fu il più grave rovescio per
l’esercito italiano. Rotto il fronte dagli austriaci, i soldati in fuga
ripiegarono sul Piave, dove la gloriosa III Armata oppose
all’avversario, anch’esso esausto, una resistenza leggendaria: «E il
Piave mormorò: non passa lo straniero!». In quella ritirata, si
vennero a trovare parecchi dei nostri, che poi ricordavano tristemente
lo scoramento che aveva invaso tutti e la fuga precipitosa fino al
Piave.
Ma anche il fronte interno crollava. Le
condizioni alimentari della popolazione civile erano all’estremo. La
tessera annonaria prescritta per tutti, sarebbe stata una tessera di
fame, senza il mercato nero, come avviene in questi casi. I nostri
Istituti di Messina e provincia soffrirono di meno perché il Molino,
Panificio e Pastificio dello Spirito Santo lavorava per le Forze Armate.
E gli Ufficiali responsabili, nonché i Dirigenti del Comune, avevano
grande comprensione per le orfane, anche perché tutti vedevano che tanti
poveri venivano a sfamarsi alle porte dei due Istituti in città. Anche
nelle Case delle Puglie si stentava, ma la Provvidenza non veniva meno
con accorgimenti vari. Soprattutto si viveva della stessa fede del
Padre, il quale, nonostante tutto, incoraggiava ad avere fiducia in Dio,
mentre faceva prescrizioni prudenziali di economia...».
P. Serafino Santoro, Breve profilo storico della congregazione dei
Rogazionisti, p. 57 - 61
Scarponi chiodati in
dotazione durante la Prima guerra mondiale.
Al calzaturificio degli artigianelli di Oria fu commissionata la
produzione di scarponi militari per l’esercito italiano
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